Una mattina ero arrivato abbastanza presto al Meeting di Rimini, e nei saloni ancora semivuoti ho notato due ragazzine, probabilmente alunne delle superiori. Erano sedute per terra e avevano in mano un giornale spiegato. Era il Notiziario Meeting, dove si parlava degli avvenimenti principali del giorno prima. Ho rallentato il passo, incuriosito: quanto tempo staranno lì a leggerlo? Probabilmente lo sfoglieranno rapidamente, dando semplicemente un’occhiata ai titoli e alle foto, e poi perderanno ogni interesse per il giornale. Non era la prima volta che osservavo reazioni di questo tipo tra i ragazzi in Russia. Quelle due ragazzine, però, non avevano nessuna fretta di girar pagina. Stavano leggendo attentamente! Devo ammettere che mi sono fermato sorpreso. Per quanto tempo continueranno a leggere? Due minuti? Tre? Sono rimasto lì per cinque minuti, guardando come leggevano un articolo dopo l’altro, voltando lentamente le pagine. Erano cose che le interessavano! Devo riconoscere che questa per me è stata una delle impressioni più forti della scorsa estate.
Queste due ragazze sono diventate per me il simbolo di un atteggiamento profondamente cristiano nei confronti della vita: fede e conoscenza non possono non andare di pari passo. L’interesse per quanto succede intorno a noi dev’essere naturale. È un interesse che si forma nell’infanzia, e nella giovinezza lo corroborano incontri grandi e ricchi di ispirazione, di cui si vuol diventare partecipi. E il Meeting di Rimini è un vero tesoro, da questo punto di vista, per giovani così.
Sono cinque anni che insegno all’Università Ortodossa Umanistica San Tichon. È un’università giovane, in dinamico sviluppo, in cui studiano ragazzi ortodossi provenienti da tutte le regioni della Russia.
All’inizio dell’anno chiedo sempre ai miei studenti che cosa leggono. Ed è già da un pezzo che nei programmi radio e televisivi, sui siti internet e nei blog non si parla di giornali. E che non si leggono neppure libri, né di autori russi né stranieri.
Mi ha colpito che al Meeting la presentazione di un libretto sull’educazione, scritto dal direttore di una comune scuola cattolica, abbia richiamato un pubblico di alcune migliaia di ascoltatori. E mi ha colpito che alla presentazione si sia parlato per l’appunto di educazione. Senza testi preparati in anticipo o relazioni formali, ma con discorsi immediati, che sviluppavano liberamente riflessioni dal vivo.
Il problema non è tanto che in Russia stia sparendo ogni interesse per la lettura. È che in questo venir meno della lettura – e più in generale del desiderio di conoscere – c’è anche un altro motivo. Persino i giovani ortodossi recepiscono la Chiesa come una realtà a sé, separata rispetto alla società e alla cultura contemporanea.
Agli occhi di buona parte dei cristiani ortodossi questa «vita a sé» della Chiesa non significa una dimensione soprannaturale o un particolare status spirituale. È piuttosto il desiderio pragmatico di evadere dai problemi che si parano di fronte alla società. È il desiderio di rinchiudersi in un mondo confortevole, in cui nel corso dei duemila anni trascorsi dalla nascita di Cristo, santi e asceti hanno già offerto da un pezzo le risposte a tutti gli interrogativi.
Per molti ortodossi l’esperienza della Chiesa ha a che fare in primo luogo con un passato che non tanto sostiene, quanto giudica – nel senso di condannare – il presente, e non ha invece niente a che fare con il futuro.
Partendo da questa posizione praticamente tutte le questioni teologiche perdono ogni interesse, e anche nei confronti della vita reale si assume un atteggiamento di sospetto. Tutto ciò che c’è di più vero, di più interessante è nel passato. Santità, devozione, ascesi – sono tutte cose lontane, non c’è modo di trovarle vicino a noi. Oggi viviamo in un’epoca fatta solo di surrogati.
Ma qui vorrei aggiungere anche un’altra cosa. Sia nel passato, come anche nell’oggi le finalità e i compiti dell’annuncio cristiano si svelano in una comunione di preghiera, senza la quale è impossibile rendere testimonianza a Cristo. Parlare all’uomo – in tutta la molteplicità di forme che questo gesto assume – è indissolubilmente legato al compito centrale che ha la Chiesa. Se non ci volgiamo all’uomo è impossibile non solo la missione, ma l’esistenza stessa della Chiesa.
Tutte le forme di rapporto tra gli uomini e le forme di conoscenza del mondo che noi oggi chiamiamo abitualmente mass media, si sviluppano dalla sete di comunione che il Signore ha dato all’uomo come un dono prezioso.
Oggi il sapere umano sta diventando sempre più astratto, mediato, teorico. Solo un incontro può cambiare questa situazione, rendere il sapere concreto, efficace. Il desiderio di conoscere il mondo reale è un’aspirazione profondamente cristiana.
Conoscere, nella Sacra Scrittura significa entrare in contatto personale, fare un’esperienza esistenziale concreta, uscire dall’ambito di un sapere astratto. Il metodo di conoscenza del Vangelo è quello che ci viene proposto nel Sermone della Montagna: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8).
L’esperienza di incontro che ci offre il Meeting di Rimini ci aiuta a risolvere importanti compiti dell’educazione cristiana: a vedere la «realtà» di Dio nella vita della società, e a capire che tu non sei solo.
Come avviene tutto questo? In comunione. Non solo la liturgia, ma anche questioni teologiche riempiono facilmente sale da migliaia di ascoltatori. Si dibattono in maniera viva e aperta problemi sociali e politici, tra persone che nella grande politica prendono con fermezza posizioni cristiane. Si svolgono mostre che hanno come scopo principale la formazione di una concezione cristiana. È un lavoro immenso, proposto a un uditorio amplissimo fondamentalmente allo scopo di consolidare la fede personale, attraverso la comunione e la conoscenza.
Io vorrei molto che questi incontri diventassero possibili in Russia, ma prevedo una serie di difficoltà. In primo luogo, da noi si è creata una situazione per cui grandi eventi a carattere religioso ed ecclesiale possono essere organizzati solo con la partecipazione di diocesi o di dipartimenti sinodali. I laici non hanno praticamente nessuna possibilità di agire in maniera autonoma. In secondo luogo, l’interesse per le problematiche religiose è molto più debole. E per di più, sono pochissimi sacerdoti e laici in grado di parlare a vasti pubblici. Non esiste praticamente esperienza di questo tipo di contatti. Bisogna preparare, educare persone che siano in grado di farlo. Infine, in terzo luogo, il desiderio di ritrovarsi insieme per andare a vedere non un monastero, ma una mostra; per partecipare non a un pellegrinaggio ma a una tavola rotonda; per parlare non con dei monaci ma con dei docenti universitari – tutto questo per molti russi è un altro pianeta.
Ma tutti questi interrogativi non significano che non ci si debba provare. Forse sarà un cammino più breve dei 32 anni in cui il Meeting di Rimini è diventato quello che è diventato ma, in ogni caso, sarà un lungo cammino.
Di Sergej Čapnin
Ïåðåâîä Äæîâàííû Ïàððàâè÷èíè, 2011