L’architettura sacra nella Russia di oggi

D. L’anno scorso Lei ha cominciato a pubblicare la rivista «Chramozdatel’» (Costruttori di templi) , dedicata ai problemi della progettazione, costruzione e restauro di chiese. Come mai la decisione di incentrare un intero periodico su questo tema? Che proporzioni può assumere in Russia la costruzione di chiese?

R. Il primo numero della rivista è uscito nel 2012, e posso dire che è stato uno dei progetti più fortunati degli ultimi anni. Infatti, il gruppo di architetti e costruttori che progettano e realizzano chiese ortodosse è abbastanza nutrito, ma fino all’apparire di «Chramozdatel’» non avevano un proprio strumento editoriale specializzato, e neppure una piattaforma di discussione e scambi di esperienze.

Il nostro scopo principale era reintrodurre la problematica legata alla liturgia nelle discussioni sulla fisionomia che devono avere le chiese oggi. Non di rado l’aspetto liturgico nei progetti architettonici si limitava al rispetto formale delle dimensioni del presbiterio o dell’altezza dell’ambone. D’altra parte, le tradizioni restano in vita solo quando la conoscenza che si ha di esse si unisce a un atteggiamento creativo nei loro confronti.

Che cosa significa avere un atteggiamento creativo nei confronti della tradizione? Questo interrogativo solleva oggi moltissime discussioni, che talvolta si trasformano in accanite dispute. È interessante rilevare che, contemporaneamente allo svilupparsi della discussione sull’architettura sacra e alla consapevolezza che senza riflettere sulla prassi liturgica attuale sarebbe impossibile andare avanti, anche in un’altra sede è apparso un interesse per i problemi liturgici. Mi riferisco alle bozze di progetto di due documenti, «La lingua slava ecclesiastica nella vita della Chiesa ortodossa russa del XXI secolo», e «La preparazione alla Santa Comunione». Sono in esame vari aspetti dell’azione liturgica: il primo documento si riferisce alla lingua delle celebrazioni liturgiche, il secondo alla prassi della preparazione e della frequenza con cui accostarsi al sacramento dell’Eucarestia. La discussione su questi documenti ha mostrato che oggi nella Chiesa ortodossa russa non esiste unanimità rispetto ai problemi che essi pongono. Nel primo caso la divisione all’interno della comunità ecclesiale si è rivelata talmente profonda da indurre a deliberare di rimandare a una data imprecisata il proseguimento del lavoro sul documento stesso. La discussione sulla prassi della Comunione continua, ma anch’essa ha mostrato che nella Chiesa coesistono in parallelo le due tradizioni di comunicarsi frequentemente e raramente, e che il dialogo fra i loro sostenitori incontra grosse difficoltà.

Si può dire, quindi, che architetti e costruttori non sono gli unici a non raccapezzarsi nelle prassi liturgiche vigenti oggi. La soluzione dei loro problemi è inscindibilmente legata al formarsi di una nuova concezione circa il ruolo e il posto della liturgia nella vita della comunità cristiana. Temo che occorreranno ancora anni e anni perché si giunga a una soluzione comunionale di tutta la Chiesa su questo problema.

D. Quali altri scopi si propone la nuova rivista?

R. Negli anni della cosiddetta «rinascita della Chiesa» sono stati costruiti migliaia di edifici di culto, ma non si è ancora cominciato a raccogliere, analizzare e sistematizzare questa esperienza. Passo dopo passo stiamo cercando di svolgere questo lavoro. Mi sembra che l’analisi debba condurre innanzitutto a formulare un programma positivo. Intorno alla rivista si sta formando un gruppo di esperti chiamati a rilevare i progetti e le soluzioni architettoniche più felici e interessanti, che potrebbero diventare un punto di riferimento anche per il futuro. È importante non limitarsi a indicare tali progetti, ma cercare di spiegare perché e in che senso possono essere considerati i migliori. È importante come metodo pedagogico ed educativo. Non si tratta di imporre determinati modelli o di ordinare di adeguarsi ad essi, ma soprattutto di spiegare, di rendere ragione.
Certo, non crediamo che questo compito si possa esaurire nel giro di un anno o due. È un lungo processo, e per raggiungere lo scopo vanno utilizzati i più svariati strumenti: mostre, convegni, concorsi, corsi di aggiornamento.

Quando parlo dell’esigenza di sistematizzare l’esperienza, bisogna fare una precisazione. È una consapevolezza soprattutto istintiva, intuitiva, che riguarda più i professionisti che non gli ambienti ecclesiastici. Né a livello diocesano, né a livello dell’intera Chiesa ortodossa russa esistono per il momento istituzioni che si occupino dei problemi dell’architettura sacra contemporanea, dell’aspetto delle chiese, della loro decorazione e arredamento, di creare o elaborare nuove metodologie di lettura dello spazio liturgico. In pratica, questo significa che quando si va alla ricerca di un aiuto o di una spiegazione, ci si trova sovente in situazioni assurde, perché nessuno si preoccupa di queste questioni, e le diverse istituzioni ecclesiastiche si rimpallano il malcapitato da un ufficio all’altro, senza risultato.

Parallelamente, a Mosca esiste un’esperienza abbastanza interessante di commissione diocesana per l’arte sacra, che esamina e ratifica i progetti di costruzione e restauro delle chiese, e in varie diocesi esiste la figura dell’architetto diocesano, che cura personalmente i lavori di costruzione e restauro. Nella metropolia di Nižnij Novgorod esiste addirittura un’esperienza senza precedenti, un apposito ufficio di architettura ed edilizia che svolge la funzione di impresario, assicurando simultaneamente la progettazione, la costruzione e il controllo. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la costruzione è completamente appaltata ai parroci o anche, addirittura, agli sponsor. Va da sé, naturalmente, che la voce della comunità parrocchiale non è tenuta in nessun conto, quando si costruisce la chiesa.

Esiste tutta una serie di complessi e dolorosi problemi legati ai rapporti fra architetti e costruttori, da un lato, e i committenti (parroci e sponsor), dall’altro. Spesso capita di sentire che le due parti non si comprendono e non riescono a trovare forme di collaborazione accettabili.

D. Come mai?
R. La costruzione di chiese fu rigorosamente vietata dopo il rivolgimento dell’ottobre 1917, e anche le tradizioni dell’edilizia sacra saltarono completamente. Alla fine del XX secolo l’aspetto più diffuso di chiesa era un cumulo di macerie, con arbusti di betulla che crescevano sul tetto.

È importante sottolineare che non ci si limitò semplicemente a impedire la costruzione di nuove chiese, ma andarono distrutte tutte le tradizioni di insegnamento dell’architettura sacra. Le chiese, naturalmente, rimasero nei corsi di storia dell’architettura, ma esclusivamente come monumenti. La loro valenza di luoghi per la celebrazione della liturgia venne dimenticata. Molti architetti non immaginano neppure che è proprio la liturgia a dettare i criteri di organizzazione dello spazio del tempio.

E le poche chiese costruite nel XX secolo, furono costruite senza alcun progetto, senza mezzi a disposizione, mentre i sacerdoti (come, ad esempio, padre Pavel Adel’gejm), che si risolvevano a costruire una nuova chiesa, ben presto in genere finivano in prigione.

D. Quali correnti vede oggi nell’architettura sacra?

R. Se parliamo della situazione in cui si trova oggi l’architettura sacra, bisogna evidenziare tre categorie principali. La prima e più numerosa comprende imitazioni più o meno felici di stili architettonici di varie epoche: si va dalle scuole medioevali di Pskov, Novgorod e Mosca, allo stile impero, al classicismo, allo stile bizantino-russo e al liberty. L’imitazione, il lavoro di copia è diventato il trend dominante nell’architettura sacra. Se un architetto non sa come costruire una chiesa, e non vuol sembrare fuori moda (infatti, si ritiene che ogni architetto serio dovrebbe costruire almeno una chiesa), la cosa meno rischiosa è copiare qualche modello. In questa prima corrente le soluzioni interessanti sono pochissime.

Una seconda corrente si ispira al lubok, l’arte popolare. Qui è in uso un accostamento eclettico di elementi di stili diversi, unitamente a motivi decorativi e ornamentali eccessivi, e a ridondanti dorature. Ne risulta non tanto una riproduzione, quanto una parodia dello stile impiegato.

La terza corrente potremmo chiamarla convenzionalmente «sperimentale». Proprio qui si rileva una ricerca creativa, sebbene non di rado i progetti siano in zona «rischio» e quindi siano ben pochi i parroci che si azzardano a metterli in atto. Si potrebbe citare come esempio la chiesa di San Nicola nel villaggio Povenec (architetto Elena Šuvalova), costruita in memoria delle vittime del Terrore perite nei cantieri del Canale mar Bianco-mar Baltico. Per costruire queste chiese si impiegano anche nuovi materiali, oppure accostamenti inusuali (ad esempio, a Povenec vediamo uniti insieme legno e cemento armato), e nuove metodologie di organizzazione dello spazio interno.

Dopo vent’anni di imitazioni e copie si ha la sensazione di essere finiti in un vicolo cieco, e che l’unica via d’uscita sia rappresentata da una novità stilistica. Ma in che cosa possa consistere tale «novità», per il momento nessuno riesce a capirlo. È un interrogativo che si sente spesso ripetere da parroci e costruttori, architetti e critici d’arte. Per il momento, nessuno ha una risposta.

Sono convinto che una ricerca ispirata dall’estetica (pura forma) o dalla tecnologia (i materiali impiegati), non porti a nulla. Per poter sviluppare la ricerca, occorre partire con il piede giusto: in altri termini, occorre una forma che sia indissolubilmente legata a un contenuto. Ho già detto, all’inizio della conversazione, che per il momento non esiste una nuova concezione dello spazio sacro all’interno della chiesa. La cosa importante e positiva, però, è che questa discussione si sia avviata. Siamo solo all’inizio del cammino e stiamo semplicemente imparando a formulare correttamente le nostre prime domande.

Sergej Čapnin è il caporedattore della «Rivista del Patriarcato di Mosca», mensile ufficiale della Chiesa ortodossa russa. Fra i suoi interessi l’architettura e l’arte liturgica hanno sempre occupato un posto particolare, legato del resto anche alla necessità di costruire nuove chiese nei cosiddetti «quartieri dormitorio» delle grandi città, in primo luogo a Mosca. L’intervista qui riportata (che all’autore è sembrata uno strumento più efficace della relazione svolta alla tavola rotonda), sintetizza i problemi nodali che oggi si pongono non solo agli artisti ma all’intera comunità cristiana in Russia.

Intervista a cura di Ksenija Lučenko
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