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L’ex direttore della "Rivista del Patriarcato di Mosca", racconta alla stampa russa il clima di censura che vige nella Chiesa russa e i pericoli della stretta collaborazione con lo Stato. Il suo licenziamento non è stato una sorpresa.

Parigi, Copenhagen, Homs, Donetsk... Ogni volta la notizia di un nuovo attentato rende sempre meno sensibili alla morte. Davanti al dolore degli ultimi mesi, gli interrogativi del direttore della "Rivista del Patriarcato di Mosca".

Il mondo nel quale viviamo si distingue notevolmente dal mondo in cui sono vissute molte generazioni di nostri avi. Ma è ancor più importante riconoscere un’altra cosa: il nostro mondo si distingue notevolmente dal mondo in cui si sono formate e sviluppate la tradizione e la cultura cristiana nel senso lato della parola.

Il primo numero della rivista è uscito nel 2012, e posso dire che è stato uno dei progetti più fortunati degli ultimi anni. Infatti, il gruppo di architetti e costruttori che progettano e realizzano chiese ortodosse è abbastanza nutrito, ma fino all’apparire di «Chramozdatel’» non avevano un proprio strumento editoriale specializzato, e neppure una piattaforma di discussione e scambi di esperienze.

Indubbiamente, Putin ha un elettorato fedele. Il 30, 40, e forse quasi il 50%. Per salire al potere – e specifico subito, per salire onestamente al potere – è più che sufficiente. Certo, non al primo turno, ma comunque… Io stimo e rispetto sinceramente la scelta di queste persone. Anche se tra costoro ci sono parecchi che pensano alla Russia secondo categorie che mi risultano strane, ad esempio nei termini di «rivoluzione arancione», «barricate», oppure, diciamo, «nuovo impero ortodosso» e così via.